In questo articolo vorrei parlarvi di uno dei capisaldi della professione dello psicologo,
IL SEGRETO PROFESSIONALE.
Spesso mi è stata rivolta la domanda: "Il segreto professionale vale anche se il paziente è minorenne?".
La risposta è SI.
Anche ai minori è garantita Privacy e riservatezza in terapia.
Lavorando con minori mi è capitato a volte di dovermi rapportare con genitori arrabbiati perché non ero disposta a condividere con loro gli argomenti che mi riportavano i figli.
Qualche volta mi sono sentita addirittura dire "mio figlio è minorenne e perciò è mio diritto sapere cosa le dice".
Cercare di far capire al genitore che i loro figli, come chiunque altro, hanno dei diritti e che anche loro in terapia sono tutelati dalla privacy e dalla riservatezza non è sempre facile.
Iniziamo facendo un po' di chiarezza sul "segreto professionale" cui lo psicologo è "deontologicamente ed eticamente" obbligato nei confronti del paziente.
Intanto esiste una sostanziale differenza tra lo psicologo che lavora nel pubblico e lo psicologo in ambito privato.
Lo psicologo privato, a differenza dello psicologo del servizio pubblico che è un pubblico ufficiale, non ha obbligo di denuncia "per reati già commessi", non può denunciare il proprio paziente, altrimenti rischia una denuncia penale dal paziente stesso (Art.622 del Codice Penale).
Esistono però delle deroghe al segreto professionale:
Qualora il reato confessato stia per essere reiterato con possibili lesioni gravi o morte di altri soggetti (compreso il paziente stesso), vi è la deroga per giusta causa.
E' ugualmente considerata una deroga per giusta causa se è lo psicologo ad essere in pericolo di vita o di lesioni gravi.
Anche in questi casi però si riferisce agli inquirenti solo lo stretto necessario e non i dettagli delle sedute.
Dunque, tutti i pazienti, sia in ambito pubblico che privato, hanno dei diritti che sono specificati nel codice deontologico dello psicologo (reperibile nei siti degli albi).
Tra questi diritti vorrei occuparmi qua
nello specifico del diritto alla riservatezza e alla privacy.
Intanto, vediamo cos’è il diritto alla privacy.
"Il diritto alla privacy, recentemente aggiornato, è il diritto soggettivo di costruire liberamente e difendere la propria sfera privata, controllando l’uso che gli altri fanno delle informazioni che riguardano il singolo individuo: è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione."
La privacy dunque rappresenta una sorta di "diritto individuale, che tutela il singolo", è il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, uno strumento posto a salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo contro l'intromissione da parte di terzi.
Per questo è stato inserito anche nei siti internet, Privacy policy.
Il CODICE DEONTOLOGICO si occupa di questo argomento nello specifico nei seguenti articoli:
art. 4 (DIRITTO ALLA RISERVATEZZA):
Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
art. 11 (SEGRETO PROFESSIONALE):
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
art. 12 (TESTIMONIANZA E DEROGA AL SEGRETO):
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
art. 13 (OBBLIGO DI REFERTO E OBBLIGO DI DENUNCIA):
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Nello specifico, per quanto riguarda i minori si evince dal Capo II – Rapporti con l’utenza e con la committenza, art. 31 (CONSENSO INFORMATO MINORI):
"Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte".
Questo consenso viene sempre preventivamente fatto firmare dallo psicologo ad entrambi i genitori e tutela il minore nei suoi diritti di paziente/cliente in tutto e per tutto, inclusa riservatezza e privacy.
Ne consegue che:
lo psicologo non potrà svolgere attività sul minore se non con il consenso di entrambi i genitori titolari della responsabilità genitoriale, anche nel caso di affidamento esclusivo (fatte salve alcune eccezioni).
come indicato nel Codice Deontologico, lo psicologo deve sempre tutelare in primis la salute e il benessere di chi vi si rivolge (art.3) ed è tenuto al segreto professionale (art.11). Quindi non è tenuto ad informare la famiglia dei contenuti emersi, il segreto può essere infranto solo nei casi previsti dagli articoli 12 e 13.
Lo psicologo deve comprendere e rispettare le esigenze di riservatezza del minore, tanto più quanto è maggiore la loro età e il loro livello di maturità.
E' anche vero che l’interesse dello psicologo è sempre quello di instaurare un rapporto fiduciario forte col paziente, minore o adulto che sia: è la relazione il principale strumento di lavoro in psicoterapia. Attraverso la creazione di uno spazio personale, in questo ambiente protetto basato su un "ascolto autentico" e la "sospensione di ogni forma di giudizio", si delineerà quella particolare relazione tra terapeuta e paziente che accompagnerà quest’ultimo nel percorso di "crescita personale".
Quando un genitore cerca di intromettersi in questo rapporto lo mina e quindi mina la terapia stessa.
Resta il fatto che nei percorsi psicologici con minori i genitori vengono non solo coinvolti nel processo diagnostico (attraverso la restituzione della diagnosi), ma anche in quello terapeutico, nell'ottica di una collaborazione utile al raggiungimento degli obiettivi stabiliti in terapia.
Le informazioni condivise col genitore sono stabilite dal terapeuta in base all'utilità e i vantaggi che questo può comportare per il minore e per il successo del percorso terapeutico.
Uno degli obiettivi della terapia è quello di favorire e rinforzare il dialogo tra genitori e figli, quindi un loro coinvolgimento va sempre suggerito al paziente minorenne quando è utile.
Lo psicologo non è alleato del figlio e nemico del genitore, semmai è il ponte che punta ad unirli, per questo i genitori dovrebbero fidarsi maggiormente dello specialista a cui affidano i loro figli, e lo fanno contrattualmente nel momento in cui firmano il consenso informato.
Lo psicologo deve quindi avvalersi della sua competenza e autonomia professionale per decidere se è opportuno o meno riferire al genitore delle informazioni sul figlio senza il suo esplicito consenso, valutando attentamente se tali informazioni tutelano la salute e il benessere del minore. In altri casi invece può risultare necessario coinvolgere i genitori, ma è importante anche non rompere il rapporto di fiducia con il minore e il suo diritto alla riservatezza. In questi casi si può concordare insieme al minore stesso la modalità di contatto con i suoi genitori e i contenuti della comunicazione.
Quindi, per concludere, se lo psicologo ritiene che il suo silenzio non sia pregiudizievole per l'incolumità del minore, ha la facoltà e il "dovere etico" di garantirgli assoluta riservatezza.
Nel caso in cui invece ritenga che tenere all’oscuro i genitori possa pregiudicare l'incolumità del minore può e deve informarli, senza che ciò si configuri come violazione del segreto professionale.
Per tutti coloro che avessero domande o volessero anche solo partecipare dicendo il loro punto di vista, vi invito a scrivere nei commenti del blog o inviarmi una mail all'indirizzo annaritamancini.re@gmail.com riceverete risposte in tempi brevi.
Allego copia del modello di consenso a visione degli interessati.